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Vallecamonica per tutti

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Pietro CHIODI
1915 - 1970 Professore e filosofo

Pietro Chiodi nacque il 2 luglio 1915 a Corteno Golgi, in provincia di Brescia.

Conseguita l'abilitazione magistrale, si iscrisse all'università di Torino dove si laureò, nel 1938, in Filosofia, con Nicola Abbagnano.

Vincitore di concorso, venne inviato al Liceo Ginnasio “Govone” di Alba come professore di Storia e Filosofia nell’ottobre del 1939 e restò ad Alba sino al 1957, quando si trasferì prima in un liceo di Torino, poi all'Università di Lecce, per ottenere, infine, la cattedra di Filosofia della storia presso l'Università di Torino nel 1964, ove insegnò sino alla morte.

Allievo di Abbagnano ed esponente della corrente esistenzialistica in Italia, Chiodi fu il primo a tradurre e a commentare in italiano Essere e tempo di Martin Heidegger e lasciò studi originali su Kant, Marx, Sartre, rivestendo un ruolo di rilievo nei dibattiti d'epoca.

Fu protagonista della vita culturale e di scambi filosofici con il teologo albese don Natale Bussi, nonché redattore della rivista culturale "I 4 Soli".

Nel Liceo di Alba fu collega del professor Leonardo Cocito, con cui condivise l'avversione per il fascismo, e fu insegnante di Beppe Fenoglio, che lo rappresenta, in forma romanzata, in Primavera di Bellezza e nell’abbozzo di romanzo pubblicato postumo con il titolo Il Partigiano Johnny.

Nonostante la giovane età, Chiodi fu tra quei maestri di vita civile che ebbero un ruolo importante nell'indirizzare alcuni studenti a salire in collina e a opporsi con le armi al nazifascismo.

Egli visse con loro quell'esperienza di lotta, impegnandosi attivamente nella Resistenza dall'estate del 1944.

Arrestato insieme a Cocito nei pressi di Bra il 18 agosto 1944, probabilmente per effetto di una delazione, fu deportato, mentre il suo amico e collega venne impiccato a Carignano, il 7 settembre 1944.

Dopo una sosta nel lager di Bolzano, Chiodi fu destinato al campo di lavoro di Innsbruck, ma a causa della sua grave artrite e grazie all'aiuto di un funzionario di quella che egli definisce la delegazione italiana del lavoro e alla disponibilità di alcuni militari della Wehrmacht a farsi corrompere con qualche sigaretta, riuscì a ottenere un regolare documento, vidimato dai tedeschi, da lavoratore volontario che doveva essere rimpatriato per le cattive condizioni di salute. Grazie a questo documento egli riuscì a rientrare, peraltro con molte difficoltà, a casa sua, a Montaldo Roero, un piccolo paese a 14 chilometri da Alba.

Qui riprese la guerriglia sino alla liberazione, costituendo un battaglione, inquadrato in una Brigata Garibaldi e intitolato all'amico Cocito.

Della sua esperienza lasciò testimonianza nel volume Banditi (1a edizione 1946): un diario in cui riporta, con stile asciutto e, talora, quasi cronachistico, le sue vicende, l'organizzazione delle prime formazioni armate, la lotta militare sino alla liberazione di Torino, documentando la vita partigiana sia nella sua pratica quotidiana sia nelle tensioni ideali che la sostennero.

Pietro Chiodi morì a Torino il 22 settembre 1970

Biografia

Compiuto il servizio militare, entrò al seminario di Brescia che lasciò al termine del secondo anno di teologia per entrare, nel 1920, nel Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano per il quale fu ordinato sacerdote il 22 settembre 1922.

Destinato alla diocesi di Hong Kong, partì per la Cina il 29 luglio 1923 e fu assegnato alla missione di Hoifung, all’interno del Paese. Fu arrestato e liberato dai comunisti nel 1925 e nel 1927. Durante la seconda guerra sino-giapponese fu costretto a lasciare la missione per il concentramento e si dedicò particolarmente alla formazione del clero indigeno nel seminario di Mooiyen dove insegnò filosofia.

Superiore regionale per le missioni della Cina dal 1947, il 10 marzo 1949 fu nominato vescovo coadiutore di Hong Kong con diritto di successione e il 9 ottobre dello stesso anno fu consacrato nella cattedrale di Hong-Kong.

Appena consacrato ritornò all’interno della Cina per essere solidale con i missionari ed i cristiani di fronte alla persecuzione in atto dopo la presa del potere da parte dei comunisti nel Sud della Cina. Il giovedì santo del 1951fu fatto prigioniero con altri missionari. Si trovava ancora in carcere quando il 3 settembre 1951, alla morte del suo predecessore Enrico Valtorta, divenne vescovo.

Il 17 ottobre 1952 fu espulso inaspettatamente dalla Cina e fece il suo ingresso nella diocesi di Hong-Kong, dove si adoperò con grande coraggio all’opera di evangelizzazione e alle opere sociali a favore soprattutto dei profughi. Nel 1954, dopo 33 anni di vita missionaria, tornò per la prima volta in Italia. Compì viaggi pastorali presso le chiese degli Stati Uniti nel 1955 e della Germania nel 1959, 1962 e 1968 per far conoscere la grave situazione sociale di Hong-Kong divenuta metropoli cosmopolita e chiedere aiuto soprattutto per i profughi. Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II dal 1962 al 1965.

Nel maggio 1968 presentò anzitempo le sue dimissioni a papa Paolo VI auspicando che un vescovo cinese assumesse il governo della diocesi. Il 14 agosto 1969 lasciò la diocesi dove tornò, su invito del suo successore Francis Xavier Hsu Chen-Ping, per un breve periodo in occasione della storica visita pastorale di Paolo VI del 4 dicembre 1970. Dal 1969 visse in Italia presso le comunità del PIME prima di Genova quindi di Lecco.

Morì a Brescia il 13 febbraio 1983. Celebrati i funerali nella cattedrale di Brescia, nella chiesa parrocchiale di Corteno Golgi e presso la comunità dei missionari del PIME a Lecco con la partecipazione dell'allora vescovo di Hong-Kong, John Baptist Wu Cheng-chung, fu sepolto, per sua espressa volontà, nel cimitero di Villa Grugana di Calco in provincia di Como dove riposano i missionari dell’istituto.

 

Primi Anni

Da una testimonianza di Angelo Tasca risulta che Camillo Berneri militava nella Federazione Giovanile Socialista di Reggio Emilia già dal 1912 (da "Mussolini-Psicologia di un dittatore", Camillo Berneri, a cura di Pier Carlo Masini, Milano, 1966, pag 109). Dopo essere stato membro del Comitato Centrale della Federazione Giovanile Socialista reggiana, e dopo aver collaborato all'Avanguardia (organo nazionale della FGS), nel 1915 rassegna le dimissioni dalla FGS, attraverso una lettera ai compagni, avendo maturato convinzioni anarchiche. Sarà colpito dal gesto dei compagni che, nonostante le dimissioni, vorranno che presieda un'ultima riunione della FGS a Reggio, e dal gesto del mentore Camillo Prampolini, che lo convocherà per conoscere le ragioni del suo dissenso. Berneri ricorderà sempre "i dolci ricordi del mio catecumenato socialista"(da "Mussolini-Psicologia di un dittatore", Camillo Berneri, a cura di Pier Carlo Masini, Milano, 1966, pag 115-117). Nel 1916 si trasferisce ad Arezzo dove frequenta il liceo.

Chiamato alle armi ed escluso dall'Accademia Militare di Modena per le sue idee, fu inviato al fronte nel 1918; quindi, ancora in servizio, venne confinato nell'isola di Pianosa in occasione dello sciopero generale del luglio 1919. Iniziava intanto con lo pseudonimo Camillo da Lodi la sua copiosa attività pubblicistica collaborando per anni a vari periodici libertari: da Umanità Nova a Pensiero e Volontà, da L'avvenire anarchico di Pisa a La Rivolta di Firenze e a Volontà di Ancona.

Laureatosi in filosofia, insegnò tale materia per qualche tempo a Camerino. Pronta e decisa si manifestava la sua avversione al fascismo e, dall'Umbria in particolare, egli manteneva i contatti con gli antifascisti fiorentini diffondendo il battagliero giornaletto Non mollare. Molto intensa fu in quegli anni l'attività di Berneri nell'Unione Anarchica Italiana. Inaspritasi la dittatura fascista, Berneri dovette espatriare clandestinamente in Francia nel maggio 1926 e lo raggiunse poco dopo la moglie con le figlie; sua moglie era Giovanna Caleffi anche lei militante anarchica così come poi la figlia Marie Louise Berneri.

Guerra Civile Spagnola

Scoppiata la guerra civile spagnola, Berneri fu tra i primi ad accorrere in Catalogna, centro dell'attività di massa libertaria esprimentesi nella Confederación Nacional del Trabajo: qui si trovò a fianco di Carlo Rosselli con tanta parte dell'antifascismo italiano e internazionale. Al di là della solidarietà militante, a Carlo Rosselli lo legava anche l'atteggiamento critico, e l'apertura mentale verso le prospettive del socialismo: in quegli anni Camillo Berneri collaborò con l'organo clandestino del movimento socialista-liberale "Giustizia e Libertà", argomentando con Rosselli sull'alternativa secca tra socialismo libertario e socialismo dispotico ("Gli anarchici e G.L.", Camillo Berneri e Carlo Rosselli, Giustizia e Libertà, 6 e 27 dicembre 1935). Furono gli ultimi mesi febbrili della sua vita: inadatto alle fatiche del fronte, si dedicò con entusiasmo all'opera formativa, al dibattito ideale e alle incombenze politiche pubblicando a Barcellona dal 9 ottobre 1936 un proprio periodico dal titolo Guerra di classe che sintetizzava la sua precisa interpretazione del conflitto in corso. In esso infatti Berneri, preoccupato per il crescente isolamento non tanto del legittimo governo repubblicano quanto delle più tipiche realizzazioni rivoluzionarie e libertarie conseguite in Catalogna, Aragona e altre regioni, si batté vigorosamente per la stretta connessione di guerra e rivoluzione ponendo agli antifascisti e ai suoi stessi compagni anarchici il dilemma: vittoria su Franco, grazie alla guerra rivoluzionaria, o disfatta. Tale la sostanza di numerosi suoi articoli e discorsi come della famosa Lettera aperta alla ministra anarchica della Sanità Federica Montseny che con altri tre anarchici era nel governo di Largo Caballero.

Molteplici, seppure inascoltati, furono anche i suoi suggerimenti politici per colpire le basi operative del fascismo proclamando l'indipendenza del Marocco, coordinare gli sforzi militari, potenziare gradualmente la socializzazione. Fu dunque quella di Berneri una funzione singolarmente impegnata che lo espose ben presto alle feroci repressioni condotte dai comunisti ormai prevalsi dopo l'avvento del governo di Juan Negrín: scomparvero così tragicamente, vittime dei massacri di massa, migliaia di combattenti antifascisti non comunisti, anarchici ma anche comunisti non stalinisti, come i miliziani del POUM. L'assassinio di Camillo Berneri, sulle cui esatte circostanze esistono diverse versioni[1], si colloca precisamente nella sanguinosa resa dei conti tra stalinisti e loro avversari antifascisti conosciuta come le giornate di maggio (Barcellona, maggio 1937). Il 5 maggio Berneri fu prelevato insieme con l'amico anarchico Francesco Barbieridall'appartamento che i due condividevano con le rispettive compagne. I cadaveri dei due anarchici italiani furono ritrovati crivellati di proiettili. La moglie di Camillo Berneri allevò i figli di Antonio Cieri, anche lui caduto in Spagna. In morte di Camillo Berneri, il leader socialista Pietro Nenni scrisse: "Se l'anarchico Berneri fosse caduto su una barricata di Barcellona, combattendo contro il governo popolare, noi non avremmo niente da dire, e nella severità del suo destino ritroveremmo la severa legge della rivoluzione. Ma Berneri è stato assassinato, e noi dobbiamo dirlo" (Pietro Nenni, Nuovo Avanti, Parigi, 28 giugno 1937).

Testo da inserire

Biografia

Nacque in provincia di Brescia in una famiglia numerosa che le diede un'educazione cristiana. Conosciute le missioni salesiane attraverso la lettura del Bollettino Salesiano, iniziò a maturare la propria vocazionereligiosa. Nonostante l'iniziale contrarietà del padre, al compimento della maggiore età poté chiedere l'ammissione all'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice; emise la prima professione nel 1908 a Nizza Monferrato.

Durante la prima guerra mondiale seguì a Varazze corsi di assistenza sanitaria e lavorò come infermiera crocerossina nell'ospedale militare. Scampata a un violento alluvione dopo aver invocato la Vergine Maria, decise di partire per le missioni. Nonostante il suo proposito di andare tra i lebbrosi, fu inviata nella missione salesiana in Ecuador. Sbarcata nel 1925 nella baia di Guayaquil, raggiunse Chunchi, dove fu infermiera e farmacista per poco tempo.

Missionaria tra gli indios

Poco più tardi si addentrò nella foresta amazzonica con il vescovo missionario Domenico Comin e altre dueconsorelle, avendo come campo di missione la terra degli indios Shuar, nella parte sud-orientale dell'Ecuador. Appena giunti a Méndez, suor Maria si guadagnò la stima di una tribù Shuar operando la figlia di un capo ferita da una pallottola. I missionari si stabilirono definitivamente a Macas, un villaggio di coloni circondato dalle abitazioni collettive degli Shuar. 

Fu questo l'inizio di un lungo e difficile lavoro di evangelizzazione. Suor Maria operava come chirurgo e infermiera, ma la sua occupazione principale restava la catechesi. Grazie alla sua opera di promozione della donna shuar nacquero centinaia di nuove famiglie cristiane, sorte per la prima volta per libera scelta dei giovani sposi. Suor Maria fu madre delle missioni del vicariato apostolico di Méndez, con instancabili spostamenti nella selva.

Morì il 25 agosto 1969 in un incidente aereo, avvenuto mentre si recava a Sucúa per gli esercizi spirituali.

Culto

Le venerate spoglie riposano a Macas. A presiedere la Celebrazione Eucaristica, per la beatificazione tenuta a Macas, come delegato di Papa Benedetto XVI, è stato il cardinale salesiano Angelo Amato, Prefetto per la Congregazione per le Cause dei Santi, il 24 novembre 2012.

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